FAGIOLINI: UNA VITA TRA PETTINI, LUNA PARK E SPRINKLER DANCE
Quest’estate nei nostri giri per le aziende agricole e le cooperative della romagna abbiamo avuto modo di farci una cultura sulla coltura (virtuosismi) dei fagiolini, o green beans se vogliamo essere più cool.
Un coltura apprezzata dai produttori perché ben retribuita dalla grande distribuzione e perché va a frutto in breve tempo (bastano 50/60 giorni dal momento della semina alla prima raccolta) e quindi permette di fare più raccolte per ogni stagione.
Difficoltà della coltura è l’irrigazione, poiché vanno evitati in tutti i modi i ristagni d’acqua e quindi non si possono utilizzare i classici tubi di irrigazione che sgocciolano sempre nello stesso punto, ma bisogna usare gli sprinkler (spruzzatori d’acqua per l’effetto pioggia) che noi ignoranti ed amanti del trash conoscevamo solo per la magnifica ed elegantissima danza di cui vi illustriamo uno splendido esempio… ?
Nonostante la poesia della danza, gli sprinkler possono essere un problema nel momento in cui:
1 – richiedono un sistema di pompe a pressione che costano parecchio
2 – le pompe a pressione in un terreno vicino al mare come quello della romagna si intoppano spesso con le tonnellate di conchiglie che finiscono nei filtri, quindi sono necessari continui controlli e manutenzione. (Abbiamo provato a proporre come soluzione la creazione del brand “fagiolini ai frutti di mare”, ma l’entusiasmo nelle risposte è stato tiepido. Il pubblico romagnolo non è pronto.)
Sprinkler a parte, ciò che ci ha colpito è la raccolta.
Questa ad oggi viene fatta esclusivamente a macchina (cum magno gaudio delle scogliosi degli operai che prima dovevano raccoglierli a mano chini a 50 cm da terra), usando grossi macchinari che sono di fatto delle trebbiatrici che “pettinano” le piante separando i fagiolini i dai fusti. Bene, ma non benissimo…
Il problema è che il modo di “pettinare” è molto simile a quello che usava mia madre quando ero in ritardo per andare a scuola la mattina e quindi segue il principio: sradicare è meglio che districare.
Questo significa, nel mio caso, calvizie precoce, nel caso dei fagiolini, lo sradicamento dell’intera pianta che quindi viene estirpata e buttata dopo ogni raccolto nonostante sia giovane, sana e in piena produzione.
Uno spreco non indifferente a cui però è difficile trovare una soluzione se non aspettare che venga ideato un macchinario più efficiente e “delicato”. MacGyver pensaci tu!
Ultima sorpresa, un giro all’interno dello stabilimento di uno dei più grossi produttori e distributori di fagiolini d’ Italia. Un posto incredibile: fagiolini da tutte le parti, muletti che saettano a destra e sinistra come in un enorme formicaio verde. Praticamente un luna park per vegani.
Anche qui di scarto, e quindi spreco, ce n’è tanto (circa il 20% sulla produzione totale) più che altro dovuto alla meccanizzazione della linea di lavorazione: dall’arrivo di un carico appena raccolto dalle campagne i fagiolini vengono controllati, sia a macchina che a mano, per separarli dalle foglie e dai rami rimasti attaccati, poi vengono passati al confezionamento.
Tre i motivi di scarto principali:
1 – i fagiolini soprattutto quelli più lunghi, sono fragili, nell’arco di tutta la linea di lavorazione e confezionamento le probabilità che si spezzino sono altissime e quando succede devono essere scartati perché la grande distribuzione non accetta prodotti spezzati che si possono ossidare più facilmente
2 – i nastri trasportatori della linea di lavorazione hanno giunture tra uno e l’altro che creano dei buchi dai quali inevitabilmente i fagiolini di forma più curva cadono
3 – parola d’ordine su tutta la linea è velocità ed efficienza, quindi nel caso del controllo manuale, davanti a gruppi di tanti fagiolini ancora “ingrappolati” sui rami (slang degli addetti ai lavori), si scarta in blocco piuttosto che separarli uno ad uno.
Non credi a quello che leggi? Guarda il video!
Il Green Beans Tour è finito ed è ora toglierci il gilet da Edoardo Raspelli.
Alla prossima!